Secolo XIX
Nel 1803 dal 3 al 18 marzo vennero trovate morte 6 persone, in tutto l’anno 15. Il dodici dicembre si registrò un forte terremoto nella zona.
Nel 1804 ancora una volta Castiglione viene affittata per nove anni al magnifico Luigi Sabatini di Atri per 1.500 ducati e 77 tarì annui.
È interessante notare come nel Dizionario Topografico di Luigi Ercole, pubblicato nello stesso anno (1804), Castiglione Messer Raimondo venga definita “una delle più ricche università del Regno, posta al fianco di disastrosa collina a sinistra (!) del fiume Fino… L’aria vi è buona e il territorio è assai fertile, specialmente in vino e olio”.
È sotto il Ripartimento di Bisenti, come terra regia, con la contrada di S. Giorgio e masserie di 2.075 anime.
Appignano è terra baronale del Terzo Ripartimento ed ha 553 anime; il suo comune viene soppresso due anni dopo (1806) e con Bacucco (Arsita) viene aggregato a Bisenti.
Col ritorno dei francesi (1806), si riapre la piaga del banditismo, che opera col pretesto dell’amor di patria e che genera una inesorabile repressione.
Il 22 aprile 1807 Castiglione viene assalita da una quarantina di banditi che portano via salami, galline ed altre provviste e poi si dirigono verso Bisenti.
Il 1° luglio dello stesso anno giunge di nuovo a Castiglione una colonna di banditi che, sotto gli occhi dello Sciabolone, ammazzano tre persone: Enrico Pizzichelli, nativo di Castiglione, Tommaso Frattaroli e Antonio di Giovan di Vito, entrambi di Farindola.
Il 15 settembre 1807 presso Penne c’è uno scontro armato fra le truppe regie e i briganti, che si ritirano in fuga a Castiglione.
L’anno successivo (1808), il 15 gennaio vengono impiccati Vincenzo Lepre e Nicola D’Innocenzo, entrambi castiglionesi; il 6 febbraio in Appignano sono impiccati Luigi Di Giosia e Gesualdo Di Domenicantonio, entrambi di Appignano.
Il 1° aprile Giuseppangelo Ventura, bandito di Castiglione, viene fucilato a Penne. Il 30 aprile muore fucilato sempre a Penne Vincenzo Calandra, pure di Castiglione. Il 4 giugno a Farindola è ucciso dai soldati francesi Filippi Martini Luciano di Castiglione.
Ancora nel 1810 vengono commessi furti ed eccessi dalla banda dei fratelli Venanzio e Matteo Sciabolone e da quella del Ciccone.
In questi anni, però, si assiste piano piano ad un mutamento importante: le idee che spingono alla resistenza sono mutate e la lotta non è più contro i francesi ed a favore dei Borboni, bensì a sostegno di nuovi ideali di libertà e di repubblica che vengono diffusi dalla Carboneria.
Nell’ottocento, prima nel periodo francese e poi sotto la restaurazione borbonica, Castiglione è uno dei centri dove la Carboneria è più attiva e Domenicantonio Toro è a capo dei cospiratori insieme con altri carbonari di Castiglione: Battistoni Nicola, Luciani Domenico, Persio Pasquale, De Paulis Michele, Luciani Martino, Luciani Serafino, Manna Alberto, Moschetta Nicola, Piccirilli Giovanni, Piccirilli Pietro, Simoni Francesco e Simoni Domenico.
Nel 1814, periodo di dominazione francese, il Toro viene catturato e condannato a morte, ma nel 1815, con la restaurazione ed il ritorno dei Borboni al trono, ottiene la grazia. Continuerà a lottare per l’unità d’Italia partecipando ai moti insurrezionali del 1848 e morirà il 12 febbraio 1865, alla bella età di 98 anni, dopo aver visto realizzati i suoi ideali.
Nello stesso anno il 17 aprile Florestano Pepe invia nel paese una compagnia di soldati.
Nel 1815 il due febbraio, di notte, venne ucciso in casa da ignoti ladroni, Giuseppe Fanini.
Il 1817 è definito “l’anno della fame”: in Castiglione muoiono 281 persone, mentre l’anno prima i morti erano stati 115. Ancor prima dal 1813 al 1815 la mortalità annuale si era mantenuta sulla media di 68 unità.
Proseguono i lavori per la costruzione della nuova chiesa in mezzo a difficoltà di vario genere, fino alla completa ultimazione (1867).
Negli anni ’40 da ricordare un avvenimento di straordinaria importanza per Castiglione: il 18 maggio 1843 viene estratto dalla catacomba di S. Ciriaca a Roma il corpo di S. Donato Martire, che viene consegnato il 22 luglio dal Cardinale Patrizi a Don Antonio De Filippis, arciprete di Castiglione Messer Raimondo, con un preteso certificato di autentica.
La chiesa di S. Rocco viene abbandonata nel 1867 quando giunge a completamento la costruzione della nuova chiesa; successivamente, divenuta pericolante, viene abbattuta e la zona cimiteriale circostante viene bonificata.
Oggi al posto della chiesa di S. Rocco sorge la Scuola Elementare intitolata al Gran Maestro della Carboneria Domenicantonio Toro; incendiata dalle truppe tedesche in ritirata durante la II guerra mondiale, è stata successivamente riedificata. Dopo la spedizione garibaldina (1860), ci si avvia a grandi passi verso l’unificazione nazionale mediante i plebisciti: il 21 ottobre 1860 viene sancita l’annessione al Piemonte del Regno delle Due Sicilie e, quindi, anche l’Abruzzo entra a far parte del nuovo ordinamento nazionale. La transizione politica avviene in modo alquanto traumatico: gran parte della popolazione era rimasta fedele alla monarchia borbonica, pochi aderirono con entusiasmo alle vicende garibaldine ed accettarono il nuovo governo piemontese. Ancor prima che le truppe piemontesi passassero il Tronto, i reazionari borbonici cominciarono ad operare e molti si illudevano sul prossimo ritorno di Francesco II.
Anche nei piccoli centri era rimasto questo attaccamento alla dinastia borbonica. Un episodio emblematico: il 26 dicembre 1860, a Castiglione Messer Raimondo il capitano della Guardia Nazionale Don Clemente De Dominicis procedeva all’arresto del reazionario Filippo D’Innocenzo che, salito sulla scalinata di Camillo Bardari, con un coltello da porchettaio, teneva a bada le guardie nazionali Vincenzo Di Gennaro, Francescantonio Pantaleone, Saverio Schiazza e Don Giuseppe Giuliani, gridando “Viva Francesco II che ci ha dato la libertà !”.
Dopo la conquista dell’Italia Meridionale da parte dei garibaldini e delle truppe piemontesi, si sviluppò nuovamente il fenomeno del brigantaggio che si affermò soprattutto nelle campagne, tra la povera gente e tra i disperati che venivano finanziati da baroni locali e dai filo borbonici.
Nella sola provincia di Teramo, fra il 1860 e il 1870 operarono circa 3.000 briganti ed una trentina di bande.
Il 2 novembre 1860 il governatore di Teramo, Pasquale De Virgilii, d’intesa con il maggiore generale piemontese Ferdinando Pinelli, proclamava lo stato di assedio in tutti i comuni della provincia con il disarmo della popolazione e l’istituzione dei consigli di guerra per il disbrigo dei processi sommari.
Anche Castiglione, con il suo territorio, fu teatro di scorrerie brigantesche e la popolazione ne rimase a lungo intimorita.
In questo periodo caratterizzato dalle guerre risorgimentali e dalla recrudescenza del fenomeno del brigantaggio, mentre volge al termine la nobile esistenza del Toro, appare a Castiglione un personaggio che, per il grande amore verso il paese e soprattutto verso le classi più umili e bisognose, merita di essere ricordato: Michele Candelori, medico ed igienista.
Allo scoppio della Grande Guerra, molti castiglionesi rispondono alla chiamata della patria, lasciano le loro famiglie, accorrono al fronte e si battono eroicamente contro gli austriaci, a costo di enormi sacrifici ed a volte con la perdita della vita.
Non mancano atti di eroismo, numerosi sono i decorati al valore e tra essi va menzionato il colonnello Gennaro Pensieri per il glorioso fatto d’arme dell’agosto 1917 che gli meritò l’appellativo di “eroe di Korite-Selo”.
Per onorare la memoria dei fratelli castiglionesi caduti sul campo di battaglia e, in particolare, quella dell’eroe di Korite-Selo, su iniziativa del giovane ed attivo podestà Moschetta, nel 1934 viene eretta nel Parco delle Rimembranze una cappella votiva con la Madonnina del Grappa, che reca la famosa scritta “Posuerunt me custodem”.
Non si può, infine, dimenticare che molti castiglionesi hanno partecipato alla conquista dell’Etiopia (1935-36), alla spedizione italiana in Spagna (1936-39) ed all’ultimo conflitto mondiale (1940-45), mostrando sempre alto senso patriottico e recando un contributo non indifferente ai destini dell’Italia.